Diritti negati

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Viviamo, da tempo, una stagione di diritti negati.

Parlo di quelli fondamentali, di quelli che fanno di noi ciò che siamo e che ci impediscono di diventare spettri nella società.

I diritti dei bambini meritano un discorso a parte.

Se è vero che nel corso degli anni sono state molteplici le convenzione che si sono occupate di garantire ai più piccoli, esseri indifesi per antonomasia, diritti fondamentali, ciò vuol dire che, in qualche modo, la società ha fallito, ovvero contiene in sé il germe del fallimento, da questo punto di vista.

Se è necessario ricordarci (tutti) che i bambini hanno dei diritti e che gli stessi vanno garantiti, assicurati, anche con la applicazione coattiva delle norme predisposte allo scopo, vuol dire che gli adulti di riferimento hanno dimenticato ciò che significa cura, ciò che significare allevare, vale a dire “tirare su” (parola usato molto spesso nelle convenzioni che riguardano i minori e /o i ragazzi).

In questa ottica si inserisce la “carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”, introdotta nel 2018 e tesa a garantire, per l’appunto, i diritti dei figli nel momento della fine della unione familiare.

Solo dieci articoli che sanciscono diritti che non dovrebbero avere bisogno di essere messi nero su bianco, ma che dovrebbero essere espressione di buon senso di tutti i genitori, partendo dalla premessa che questo ruolo è da considerarsi chiave nella società.

Il primo articolo si intitola “I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori”…

Sembra banale, vero? Scontato, diremmo ….

Non è così, purtroppo …..

Non è retorica rammentare che allevare bambini vuol dire creare le basi del nostro futuro.

E se la crescita è costellata di rifiuti, di traumi, di abbandoni e di dimenticanza, inevitabilmente, saranno questi i sentimenti che il bambino porterà con sé da adulto, in una spirale che sarà sempre più difficile fermare.

Nella mia ventennale esperienza di avvocato nella materia familiare mi è capitato molto spesso di “ascoltare” le dichiarazioni dei minori nel corso di procedimenti di vario tipo, dinanzi al Tribunale ordinario ed a quello per i minorenni.

Ricordo, in particolare, Maria (nome di fantasia), figlia di una donna che ho assistito per lungo tempo e che è diventata anche una mia amica.

Separata e divorziata da un marito disinteressato ha dovuto occuparsi di due figli minori, che all’epoca della separazione erano molto piccoli (Maria aveva solo 4 anni, il fratello maggiore Antonio, anche questo nome di fantasia, pochi di più).

Maria ha chiesto alla madre di cambiare cognome e di assumere quello materno.

Già da tempo quando le chiedono come si chiama usa il cognome della madre.

Se si chiede a Maria il perché, lei alza le spalle e, come se fosse naturale, risponde: “ Io un padre non ce l’ho, non lo vedo mai, non ci chiama mai e non sa nemmeno cosa noi facciamo”, il tutto con una espressione ed una voce infantili che contrastano con la “grandezza” delle dichiarazioni.

Il fratello Antonio dinanzi al Presidente di un Tribunale, nel corso di un procedimento introdotto dalla madre per ottenere l’affido esclusivo dei figli in ragione dell’assoluto disinteresse del padre, ha raccontato: “Mio padre non lo vedo mai, non mi chiama neppure, non compra nemmeno un quaderno e pensa a tutto mamma, se stiamo male è lei che si occupa di noi. Pensava solo al figlio della fidanzata, gli faceva regali e lo trattava meglio di come trattava noi”.

Maria e Antonio sono due bambini equilibrati e sereni grazie alla capacità della madre di non instillare odio in loro, ma tanti minori non possono dire di avere la stessa fortuna.

Anna, anche questo nome di fantasia, ha vissuto per anni le conseguenze della traumatica separazione (e conseguente divorzio) dei genitori.

La madre, per ragioni ancora oggi sconosciute, ha sempre frapposto mille ostacoli al diritto di visita del padre.

La piccola Anna ha dichiarato “vorrei stare più tempo con papà, ma non lo chiedo e non lo faccio perché sono che mamma si arrabbierebbe e io non voglio”.

Bambini che diventano gli spettri cui accennavo, che si rendono trasparenti con la speranza e l’obiettivo di non far soffrire gli adulti, che sacrificano la loro ingenuità sull’altare di una apparente serenità tra i genitori.

Così facendo perdono, a causa degli adulti, i privilegi della loro età, il diritto di continuare ad essere figli, nonostante tutto, nonostante la tempesta intorno intorno a loro.

E’ questo che i genitori, gli adulti, dovrebbero essere: faro e rifugio dei loro figli anche nelle situazioni estreme.

Se servono carte e convenzioni per ricordarlo loro, ben venga: ne vengano fatte anche mille.

La cura del futuro merita anche questo.

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