In occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS, celebrata il 1° dicembre, la Casa dei Diritti pone particolare attenzione sul tema.
La Giornata mondiale contro l’AIDS è celebrata dal 1988 in tutto il mondo il 1° dicembre di ogni anno. È stata la prima giornata mondiale dedicata alla salute e rappresenta una delle principali ricorrenze, offrendo un’opportunità per sensibilizzare sull’argomento, esprimere solidarietà alle persone affette da questa sindrome e ricordare coloro che hanno perso la vita.
Per chi, adolescente o bambino, in tempi recenti ha vissuto l’evento traumatico della pandemia da Covid-19, potrebbe essere utile conoscere la storia e lo sviluppo di quella che fu, nel secondo ‘900, la malattia che cambiò profondamente il mondo. Dire che oggi, per noi occidentali, la situazione è molto diversa rispetto all’epoca del terrore vissuta dagli anni ’80 fino alla metà degli anni ’90 è quasi un eufemismo. A partire dal 1996, con il passaggio dalla terapia a base di AZT a quella combinata, il numero di decessi è crollato vertiginosamente. Oggi, se diagnosticato e curato tempestivamente, l’HIV può essere tenuto sotto controllo per tutta la vita e la sua capacità di contagio può essere completamente azzerata. Un progresso enorme per una malattia la cui dinamica del contagio, associata a richiami sessuali e al mondo della tossicodipendenza per assunzione endovenosa, rappresentava un elemento di forte stigma sociale. Anche i mezzi di prevenzione sono cambiati. Oltre all’uso del preservativo, dal 2011 esiste la PrEP (Profilassi Pre-Esposizione), una terapia preventiva che protegge dall’infezione. Sul fronte dei vaccini, nonostante le difficoltà dovute alla mutabilità del virus, la ricerca sta facendo progressi grazie agli studi sugli anticorpi neutralizzanti. Insomma, la situazione è completamente diversa rispetto agli anni passati. In quel contesto, i giovani vivevano in un panorama culturale complesso, cercando un senso e una visione di futuro.
Tra le storie che meritano di essere ricordate, c’è quella di Albi, raccontata da un amico:
“Albi era l’amico di tutti e di nessuno. Non era chiaro quanti anni avesse: sembravano pochi e molti al contempo, quasi avesse vissuto tante vite o viaggiasse nel tempo. Tutti però sapevano della sua malattia, l’HIV, che non nascondeva e di cui parlava liberamente. Trasferitosi da Milano a Lugano negli anni ’70, era una figura di riferimento per molti adolescenti. Nonostante una vita segnata da esperienze difficili, Albi trovava sempre il modo di dare senso al vivere quotidiano, portando i giovani a riflettere su temi profondi come lo yoga integrale e la spiritualità.”
Albi è un esempio di come si possa affrontare una malattia senza nascondersi, anche in un periodo in cui il tema era circondato da terrore e pregiudizi. Paradossalmente, oggi, in un’epoca di comunicazione globale, parlare apertamente di HIV/AIDS sembra essere ancora un tabù.
In risposta a questa difficoltà, Casa Don Venturini ha lanciato un podcast in 12 puntate, una riflessione coraggiosa sui tabù legati al politicamente corretto. Il progetto invita le persone a confrontarsi con il tema dell’HIV/AIDS e con le esperienze di chi vive la malattia o ne è direttamente coinvolto. “Ancora oggi chi ha l’AIDS lo tiene segreto, al contrario di chi affronta malattie comuni come il diabete o l’artrite,” sottolinea Francesca Sali, responsabile della casa.
Nel 2024, il Telefono Verde AIDS e Infezioni Sessualmente Trasmesse dell’Istituto Superiore di Sanità ha ricevuto quasi 7.000 chiamate, soprattutto da giovani uomini tra i 20 e i 39 anni. Questo dato evidenzia come lo stigma legato all’HIV sia ancora forte. Nonostante i progressi medici, la lotta contro l’HIV/AIDS non è solo una questione sanitaria, ma anche una battaglia contro la stigmatizzazione e la discriminazione.
Mentre guardiamo al futuro, è fondamentale continuare a sostenere la ricerca e garantire l’accesso universale ai trattamenti e ai servizi di supporto, indipendentemente dal contesto socioeconomico. La prevenzione, con l’educazione alla salute e la promozione di comportamenti sicuri, rimane una componente essenziale per ridurre il tasso di nuove infezioni. Solo attraverso un impegno collettivo possiamo sperare di eliminare non solo l’HIV/AIDS, ma anche lo stigma che lo circonda.