La scuola ha risposto immediatamente “industriandosi” nella didattica on line, secondo i più differenti strumenti e risorse: dalla videoconferenza, alle classi capovolte, al registro elettronico per gli assegni, a lezioni su gruppo – classe in chat, a registrazioni, al mix delle varie e ulteriori modalità. Ha avvertito la responsabilità di non “abbandonare” i propri studenti, nella consapevolezza immediata che la questione cov 19 non solo era assai seria, ma avrebbe determinato un lungo periodo di sospensione dell’attività didattica, più lungo cioè di quanto fissato nel primo decreto. E infatti così è.
Dunque, la Didattica a distanza ha consentito di “costruire” un ponte che collega studenti e docenti, cercando di dare una parvenza di “normalità” e assicurare una certa regolarità nei rapporti in una situazione che è francamente abnorme e che si vive nella necessità dell’isolamento fisico.
Ma va altresì sottolineato che la Didattica a distanza sta procedendo con tutti i limiti oggettivi immaginabili:
– sul territorio nazionale non tutti i docenti sono attrezzati da casa, altrettanto vero è che non tutti gli studenti lo sono, ergo questo non garantisce pari opportunità e crea, casomai non volendo, esclusioni e difficoltà;
– nel caso si sia tutti attrezzati ( e non è), nelle famiglie con più figli ci sono inevitabili problemi per ciascuno a connettersi nello stesso momento con un unico pc e casomai quel pc serve anche per lavoro ai genitori, facendo registrare situazioni di crisi e frizioni in famiglia;
– bisogna poi pensare a quegli studenti e a quegli insegnanti che stanno vivendo, nelle zone più colpite, il dramma in diretta e in prima persona. Per costoro, scontatamente, la scuola rappresenta l’ultimo dei pensieri. Insomma, quel che emerge è che la scuola deve saper entrare nelle case degli studenti in modo “sommesso”, meno legato all’ansia per il contenuto e per il programma da svolgere tout court. Essere cioè presente ma non pressante. La vicinanza e la solidarietà significano in fondo dare dimostrazione ai ragazzi che i loro docenti ci sono, sono presenti e disponibili e certo non significano, come in parte sta accadendo, dare dimostrazioni all’esterno per apparire sterilmente come i “primi della classe” nello gestire questo tipo di didattica. Del resto, nel processo di insegnamento-apprendimento le tecnologie sono strumenti che possono essere validamente utilizzati, ma rappresentano dei momenti e delle modalità, certamente non sono sostitutivi del dialogo educativo in classe. Pertanto la falla della DAD c’è tutta e è inequivocabile.
Essa può rappresentare una modalità temporanea, da gestire con buon senso e nella coscienza dei suoi limiti, e non può essere percepita come strumento da poter utilizzare a oltranza. Inevitabilmente ha stigmatizzato e messo ancor più in luce quel che era chiaro già prima: l’ascensore sociale si è bloccato nella stessa scuola in Italia. Le varie indagini sugli studenti italiani inequivocabilmente conducono a far registrare che il successo formativo è conseguito innanzitutto grazie alla estrazione sociale e alla provenienza familiare, lì dove ci si può permettere di offrire attenzione ai figli, seguirli negli studi, dare loro input culturali anche diversi. La scuola deve quindi recuperare, dopo questa terribile esperienza, la sua più genuina finalità: garantire agli studenti una formazione che non sia una arida somma di contenuti, bensì una palpitante somma di valori da interiorizzare sul piano conoscitivo, razionale e anche sentimentale. Questo lo si può fare lì dove non esiste il dispari ma il pari, ossia nelle aule scolastiche deputate a: formare il cittadino e non l’homo oeconomicus, cui il modello aziendale degli ultimi anni aspira; tenere in conto gli stili cognitivi di ogni studente; rispettare – e far rispettare- le diversità di ciascuno; vivere e saper vivere in società.
Non si può demandare alle famiglie l’onere della formazione dei propri figli perché: non tutte possono sopportarli e rispondere allo stesso modo; non è in linea con il dettato Costituzionale e democratico; non è rispondente alla missione e alla finalità della scuola pubblica; non si può pensare di alleviarlo, sic et simpliciter, attraverso la distribuzione di pc e tablet da assegnare agli studenti meno abbienti “grazie” allo stato di emergenza cov 19. Proprio l’esperienza straniante che stiamo oggi vivendo, dovrebbe invece insegnare che correre dietro alle emergenze è cosa dura e chi ha ruolo d’indirizzo politico avrebbe ora il dovere, proprio al fine di non inseguire gli eventi sui tanti fronti aperti e critici che attanagliano il mondo della scuola, pianificare programmi mirati e ariosi per i tempi “della normalità”, tali da salvaguardare vera parità e la tenuta democratica del paese in termini di sapere, saper fare e saper essere.
Anche sul piano dell’utilizzo delle tecnologie va infatti detto che la DAD con i piccoli fa gravare il peso sui genitori che devono aiutarli, mentre l’approccio che stanno avendo gli studenti delle superiori alla didattica on line potrebbe apparire ai più anche positivo, non dimentichiamo che infatti sono nativi digitali. Tuttavia non è esattamente così. Gli studenti sono assai colpiti dal cambiamento e per molti di loro l’edificio scolastico rappresenta lo spazio della socialità, dato che negli anni i ragazzi sono stati inchiodati a essere sempre più atomistici e disgregati. In loro c’è, quindi, il desiderio di tornare a scuola. Da anni si registra un atteggiamento: gli studenti ricercano spasmodicamente un rapporto con i propri professori, vanno alla ricerca del confronto e di Esempi autorevoli. Evidentemente ne hanno bisogno in un mondo di adulti in cui scarseggiano buoni esempi e che troppo spesso risulta egoista e distante nei loro confronti, finanche indifferente. Il raccordo con i loro insegnanti è a scuola, non in rete o al telefono. Del resto, proprio perché nativi digitali, la scuola deve offrire, come fa nel quotidiano e nella normalità, fonti e modelli alternativi al digitale, rappresentati dai libri, da materiale cartaceo, da analisi di pagine, dalla interazione dialogica, ecc. Specularmente, del resto, la professione docente si esercita in un contesto fisico, spaziale e temporale. Fare lezione on line è la negazione dell’uomo- misura protagoreo. Bisogna “osservare” tutto degli studenti: le parole, il linguaggio del corpo, finanche i loro sguardi. Nei profili di “normalità” così come in quelli che presentano un qualche disturbo o patologie il rapporto conta sulla “fisicità”. Insomma l’aspetto anche empatico è fondante per un buon insegnamento e lo si può garantire davvero solo in presenza, condividendo spazi, tempi, dialogo. Questa mitizzazione delle tecnologie bisogna sfatarla. Va ribadito: le tecnologie sono mezzi, non fini. Chi sostiene il contrario o ha interessi personali o è un vinto, cioè si sente impotente rispetto alla pervicacia della operazione in corso, quella di implementare tecnologie e un modello aziendalistico condotto avanti con forte dose di fanatismo. Va invece sottolineato che la scuola deve fornire agli studenti l’acquisizione del metodo di studio, che, va da sé, conta su proteiformi modalità e strumenti, conoscenze e competenze, attraverso cui allenarsi nel tempo scuola all’obiettivo più importante: il possesso dello spirito critico. Tanto che alla fine del penultimo anno e sicuramente all’ultimo anno di scuola, gli studenti dovrebbero essere anche in grado di studiare in modo autonomo, senza il continuo ricorso alle lezioni- spiegazioni. Se non si riesce a far questo, significa che la scuola ha fallito in una missione nevralgica.
Per tutte le ragioni esposte e per quelle che non possono essere debitamente argomentate in un articolo, ma che pur ci sono, la didattica digitale non è la nuova frontiera, come da più parti si osa sostenere. Poi, se più di qualcuno vuole spacciarla per tale, non ci si sorprende per una ragione: nei confronti della scuola da tempo si sono riversati gli appetiti di attori esterni, compresi quelli di società di profitto nel settore della comunicazione e dintorni. Da qui quell’atmosfera di ostinato fanatismo di cui si è parlato più sopra e che sta mirando all’occupazione della scuola “manu militari” da parte di enti, associazioni, para associazioni, imprese e società che stanno casomai ora vedendo il cov 19 come un additivo, un’occasione per accelerare e portare in porto l’operazione.
Una postilla da aggiungere: si crede che la valutazione possa essere fatta online, casomai a “quizzetame”? Chi crede questo ignora, al contempo, cosa sia la valutazione e cosa sia la scuola. Se quest’anno sarà richiesto, si tratterà di un episodio eccezionale che come tale deve essere circoscritto al qui e ora. Del resto, va detto a chiare lettere : per quest’anno, a causa della sospensione didattica nella scuola, gli studenti non avranno la stessa “preparazione” che avrebbero avuto con la didattica “tradizionale”, la quale contempla anche le più varie tecnologie ma non si riduce ad esse. Senza ombra di dubbio l’insegnamento conta sui tempi distesi, lunghi dell’apprendimento, gli unici che possono centrare il successo formativo e fare in modo che i contenuti possano essere davvero interiorizzati. Insomma i momenti della crescita nel segno della socievolezza e del dialogo educativo sono andati persi. Si potranno recuperare l’anno prossimo in classe, dentro una Scuola che sia capace di attuare il canovaccio democratico della Costituzione.
Adele Fraracci